Da fare: Reflex + Smartphone: una o due storie?
Anche gli smartphone possono avere un'anima professionale
Foto scattata con smartphone in attesa di scatto con reflex... |
Ieri sono stata ad un interessante incontro della social
media week che si svolge in questi giorni a Milano. Durante questo incontro ha
preso la parola Ruben Salvadori entrato nel firmamento dei fotografi grazie ad
un genere che si è inventato lui: la meta fotografia, ossia fotografa i
fotografi. Si, quella specie umana che armata di strumenti professionali da far
venire l'acquolina, ad un’appassionata come me, crea immagini che rimarranno
nella memoria di tutti noi. A parte il
suo ottimo lavoro che ha presentato a sommi capi e che mentre scrivo sto
curiosando sul suo sito, il punto su cui è intervenuto è l’annoso problema di
questi ultimi tempi: gli smartphone con le loro fotocamere che vengono sempre
più potenziate, possono farci diventare tutti fotografi?
Oddio la domanda non era proprio questa ma l’argomento
molto simile. Quello che mi ha stupito, non è la provocazione a lui rivolta ma
la sagace risposta che ha dato scaturita da una riflessione ancor più
illuminante. Armato di un telefono di ultimissima generazione con telecamera
assolutamente all’altezza, Salvadori ha sperimento l’utilizzo di questo nuovo
mezzo compatto e leggero per progetti più “intimi”. Con questo aggettivo ha
definito due dei suoi ultimi lavori: il progetto di raccontare delle storie di
rinascita di detenuti, prostitute e tossico dipendenti e un altro reportage
dedicato ai lavori abbandonati dell’artigiana Venezia. Per lui l’utilizzo del
telefonino al posto della solita attrezzatura da fotografo è stato un modo per
entrare in empatia con le persone ritratte, un mettersi vicino a loro e
rispettarne la storia creando degli scatti sensazionali ma molto naturali. Si
perché lo smartphone o “telefonino” è una realtà che tutti conosciamo e quasi
prendiamo in giro, per cui davanti a quello schermo perdiamo “l’ingessatura”
lasciandoci andare con naturalezza e quasi divertimento. Cosa che non accade se
ci troviamo un obiettivo puntato davanti che in qualche modo ci mette nella
condizione di dover metterci in posa, essere in ordine, essere i fotomodelli che
non siamo. In più lo stesso obiettivo tende a distogliere il fotografo
dall’azione e in qualche modo ad estraniarlo da essa portandolo forse a
raccontare altro.
Per cui il suo suggerimento al mondo dei fotografi è
diventato quello di scegliere il mezzo a seconda di quel che si vuole
raccontare, o meglio di come lo si vuole raccontare: se volete essere i primi,
catturare un momento sfuggevole comunque arrivi, essere al centro dell’azione e
soprattutto condividerlo (in ogni senso) usate lo smartphone, se volete
l’estetica, la perfezione, la tecnica, la luce… beh avete la vostra reflex!
Devo dire che è stata una riflessione che mi ha colpito
molto, se poi l’associo alla sua quote migliore durante l’evento (“think, think,
think e poi shoot”) mi ritrovo con un’idea alquanto macchinosa ma interessante
per la testa. Davvero ogni soggetto può essere raccontato in un modo più intimo,
vicino e in un modo tecnicamente perfetto stravolgendone completamente il senso?
È possibile che la stessa persona dietro la macchina riesca a raccontare una
storia in due modi diametralmente opposti solo cambiando mezzo?
Potrebbe valer la pena provare: da una parte lo
smartphone e dall’altra la reflex riuscirò a raccontare due storie diverse dello
stesso soggetto? Decisamente è una sfida da inserire nella mia lista delle cose
da fare.
Con buona pace delle mie foto da smartphone che per ora
corrispondono a promemoria, dolcetti, eventi e frasi topiche.
Voi che dite?
Intanto enjoy la galleria di Salvadori di cui sicuramente tornerò
a parlare: http://www.rubensalvadori.com/
molto interessante!!!! In effetti la tecnologia ci ha reso tutti fotografi ma Fotografi con la F maiuscola ce ne sono pochi solo i migliori sanno fare fotografie che parlano.
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